Uno studio pilota su giovani che si sottopongono a trattamento di salute mentale per disturbi dell’umore e dell’ansia spiega che lo fanno dopo un’autodiagnosi grazie ai social media.
Nell’era dei social media, sempre più giovani adulti si avvicinano ai servizi di salute mentale dopo essersi confrontati con contenuti online che parlano di disturbi psicologici. Lo rivela una recente ricerca, che ha cercato di comprendere meglio il fenomeno dell’autodiagnosi tra i giovani, esplorando il loro punto di vista sul valore della diagnosi formale e l’influenza che i social media esercitano in questo percorso.
I risultati dovrebbero far pensare che tra i giovani ci possa essere maggiore consapevolezza, ma questo è solo ciò che emerge da una prima rapida lettura, perché il problema è proprio l’opposto: lo studio ha coinvolto 57 giovani pazienti che, prima del loro primo incontro con un medico, hanno risposto a domande relative alla fruizione di contenuti online sulla salute mentale. Cerchiamo di capire in parole semplici che cosa è emerso e che deve far riflettere.
In base allo studio pilota, si è indagato se i giovani pazienti che sceglievano di rivolgersi a un medico per i propri disturbi mentali attribuissero importanza alla diagnosi medica e se ritenessero di aver già identificato autonomamente un proprio disturbo attraverso materiali trovati sul web. Inoltre, è stato utilizzato uno strumento specifico – la Social Media Engagement Scale for Adolescents (SMES-A) – per misurare il grado di coinvolgimento con le piattaforme digitali.
Tutti i partecipanti hanno affermato di aver cercato e visualizzato contenuti sulla salute mentale, e le piattaforme social (in particolare YouTube) sono risultate le fonti più consultate, superando persino i siti accademici o informativi ufficiali. In sostanza, tutti i giovani pazienti sottoposti al test hanno spiegato di aver scelto di chiedere un consulto medico per i loro disturbi mentali non sulla base di una consultazione di siti scientifici, ma dopo aver reperito informazioni qua e là sui social media.
La maggior parte dei ragazzi ha dichiarato di credere di aver già ricevuto una diagnosi – non da un professionista, ma elaborata autonomamente – grazie alle informazioni apprese online. La correlazione era evidente: quanto più frequentemente un giovane consultava contenuti sulla salute mentale online, tanto più attribuiva valore alla diagnosi clinica. Inoltre, l’autodiagnosi sembrava associata a un coinvolgimento più intenso con i social media, come indicato dai punteggi ottenuti nella SMES-A.
Questi dati suggeriscono una nuova dinamica nell’accesso alla salute mentale da parte delle giovani generazioni. I social media non si limitano a diffondere informazioni, ma diventano strumenti attraverso i quali i ragazzi iniziano un percorso di consapevolezza del proprio malessere. Ma questo sistema ha una falla enorme, perché può generare confusione, diagnosi errate o ansie ingiustificate. In questi contesti in cui i ragazzi si rivolgono prima a TikTok o YouTube che a un medico, il mondo della salute mentale deve adattarsi.
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